PLASTICA AL MINYMO


L’incontro tra me e i ragazzi di Mínyma, ha partorito delle riflessioni importanti su uno dei problemi che affligge il nostro pianeta. Ancor prima del nostro incontro, queste riflessioni che andrò brevemente ad approfondire in questo articolo, sono nate nei loro pensieri e nella loro scelta di lanciare un messaggio di rottura, tra un modo di pensare e di agire e un modo di fare moda. 
Io sono quello dei numeri e dei dati statistici. Ho sempre pensato che un riferimento numerico e statistico, per capire l’entità di qualcosa, fosse più facile da interpretare e più di impatto per chi di quell’argomento, non ne sapesse niente.
La domanda sorge spontanea: “di cosa starò mai parlando?” La tematica affrontata rappresenta una delle più calde del momento e tra le problematiche più importanti del nostro millennio. Un qualcosa con cui tutti prima o poi, dovremo fare i conti. Qualcosa che, se valutiamo la problematica non oltre la lunghezza del nostro naso, non ci preoccupa, ma che, se analizzata e approfondita, assume contorni preoccupanti e a dir poco drammatici. Eh si, parliamo di plastica!
La plastica è un materiale composto da vari polimeri. È stata una grande scoperta che dal 1861, ha iniziato letteralmente ad “invadere” il nostro modo di agire, vivere e pensare. La seconda guerra mondiale è servita da sprint, fornendo un’accelerazione in termini di realizzazioni, investimenti, progetti, brevetti, ricerche e sviluppi di prototipi senza precedenti. La plastica ha rivoluzionato molti dei settori che conosciamo, dal medico all’ automobilistico. Ha salvato le vite delle persone, premettendo di realizzare caschi, incubatrici e attrezzature per la potabilizzazione dell’acqua. La plastica però è anche il materiale che nella diffusa cultura dell’ “usa e getta”, ha invaso il pianeta, rivelando il proprio lato oscuro, con il quale tutti  noi, stiamo facendo i conti. Pensate ad una busta o a un contenitore per gli alimenti e a quanti decenni possa rimanere intatto sul pianeta. Pensate subito dopo a quanti pochi secondi impieghiamo per liberarcene. Fa paura no?
A partire dal 1950 la plastica è passata dalle 2,3 milioni di tonnellate, alle 448 milioni del 2015. Un dato che dal 2050 è destinato a raddoppiare. Numeri da capogiro a maggior ragione se si pensa che metà della plastica prodotta, è stata realizzata solo negli ultimi 15 anni. Ogni anno circa 8 milioni di tonnellate, finiscono dalle nazioni costiere, negli oceani creando vere e proprie isole galleggianti che mettono a repentaglio la vita di interi ecosistemi. Dal momento in cui la plastica che dalla terraferma arriva al mare viene catturata dalla corrente oceanica, viene trasportata in lungo e in largo per il nostro pianeta. Nelle isole Pitcairn, che si trovano fra il Cile e la Nuova Zelanda, in un atollo disabitato dell'isola Henderson, sono state trovate distese galleggianti di materie plastiche provenienti da USA, Russia, Cina etc etc. 
Se tutto questo, che i nostri occhi possono vedere, vi spaventa, sappiate che c’è tutto un mondo infinitesimale, invisibile agli occhi, che si chiama microplastica. Si tratta di particelle inferiori al mezzo cm di diametro, derivate dalla degradazione della plastica in mare ad opera della luce solare, delle onde e dal vento, che sono state trovate ovunque sul pianeta, dal Monte Everest, alla Fossa delle Marianne. Le microplastiche vanno progressivamente a degradarsi nel tempo, andando a decomporsi in microfibre plastiche. Tali composti sono stati ritrovati nei sistemi idrici cittadini e nell’aria che tutti respiriamo. 
È quindi superfluo spiegare come tutto questo mini la sopravvivenza e la salute della fauna selvatica - potrete immaginare da soli se avete un minimo di sensibilità. Tutto questo, mette a rischio la salute stessa dell’essere umano e noi sembriamo non interessarcene. Qualcosa prima o poi dovrà cambiare.
Di lavoro faccio però il ricercatore, ed è quindi un mio obiettivo, potervi mettere a conoscenza di qualche ricerca dell’epoca moderna, che alcuni centri di ricerca esteri (tra i quali la Yale University), stanno portando avanti da alcuni anni, con interessanti pubblicazioni scientifiche su numerose riviste.
Nello specifico gli studi in corso, parlano di un fungo di nome “Pestalotiopsis”,  la cui microspora, produce uno speciale enzima in grado di degradare la plastica. Questa attività sembra essere la preferita per questo organismo, a tal punto da essere in grado di svolgerla anche in condizioni di assenza di ossigeno (condizione che spesso ritroviamo sul fondo delle discariche). Pensate che scoperta epocale potrebbe essere questa. Pensate come potrebbe cambiare le sorti del nostro pianeta terra. Il mondo della ricerca scientifica va in cerca delle soluzioni con miriadi di punti interrogativi nella speranza che lo sperimentare ossessivo/compulsivo, conduca alla risposta sperata. Work in progress. 
La nostra epoca necessita di sentimenti positivi, di energie positive. Le regole sono nulla senza sentimenti. Dunque, quello che vorrei fare con questo articolo, è farvi “respirare” un attimo, dando a voi e a me, nonostante la panoramica allarmante fatta in precedenza, degli spunti di riflessione atti alla ricerca di un modello di gestione delle nostre abitudini totalmente diverso. Un comportsamento che avvenga nel rispetto non solo di noi stessi, ma anche di tutto quello che ci circonda. Da tutto questo, nasce l’idea de ragazzi di “Mínyma”, di lanciare la linea DISRUPTION – (ROTTURA) – con un modo di agire e di pensare, perché come dicono loro: “There is No planet B!” 
E forse qualche volta ce lo dovremmo ricordare.
STEFANO SECCI







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